In un decennio, gli anni ’90, segnato e caratterizzato dai grandi thriller psicologici a stelle e strisce come MISERY e THE SILENCE OF THE LAMBS, dal Sol Levante arriva nel 1997, in sordina, un film dallo stile completamente diverso dei crime e horror psicologici occidentali (e persino dalle spettacolari pellicole action poliziesche di Hong Kong), destinato a diventare seminale per tantissime pellicole future, nipponiche e non solo. CURE di Kiyoshi Kurosawa, regista che regalerà successivamente pellicole horror ed estreme di altissimo spessore come PULSE e CREEPY, è un horror noir dal ritmo blando, privo quasi del tutto di azione, spettacolarizzazione inutile e persino musiche di sottofondo, mettendo lo spettatore in una posizione di disagio, straniante e scomoda per quanto concerne la comprensione di quanto visionato , sin dai primi minuti.
Tokyo. Takabe è un ispettore che sta indagando su una serie di omicidi di inaudita violenza e che lasciano nei luoghi del delitto l’assassino di turno smarrito e confuso su quanto accaduto. I corpi delle vittime sono marchiati con una incisa tra petto e collo. Un segno che finirà per collegare i diversi omicidi tra loro in maniera però inspiegabile. Quando finalmente Takabe con i suoi collaboratori giungeranno alla conclusione che i vari esecutori materiali dei crimini sono stati ipnotizzati per compiere i delitti, inizia una caccia all’uomo lungo tutta Tokyo. Una volta catturato il presunto colpevole, inizierà una guerra di nervi tra questo ed il detective Takebe, che finirà per scavare pericolosamente nella vita privata e soprattutto nella mente di quest’ultimo …
Come un fiume che scorre lento ma inesorabile verso il mare, CURE trascina lo spettatore in un tortuoso percorso psicologico che raramente ha trovato terreno così fertile in una pellicola, al contrario di un romanzo, creando le premesse per una serie di scontri e giochi mentali che, oltre ad essere originali anche per l’ambiente cinematografico più avvezzo a ipnotismo e mesmerismo, regalerà scene scioccanti in bilico tra realtà e fantasia estrema (alcune saranno riprese da lì a poco anche da Takashi Miike nel capolavoro estremo AUDITION). Se il confronto con i titoli citati in precedenza appare complicato, risultano esserci alcune e sinistre affinità con la celebre serie TWIN PEAKS di David Lynch, dove il male appare onnipresente, silenzioso e maledettamente presente nella cornice che avvolge i nostri protagonisti.
Persino il finale è confuso e contrario ai classici stilemi del thriller poliziesco, destinato a chiudere parzialmente un cerchio che appare senza fine ma quasi costretto a riciclarsi pericolosamente in un prossimo e immediato futuro del protagonista. Da citare infine le poche ma indimenticabili scene estreme (un corpo mutilato, una scarnificazione corporea e un’esecuzione improvvisa da parte di un poliziotto), destinate però a passare in secondo piano rispetto alla struttura psicologica stratificata e complessa, senza dubbio la vera protagonista della pellicola. Un film decisamente, almeno per l’epoca, unico nel suo genere. Imperdibile! VALUTAZIONE 4,5/5
H.E.
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