Uno dei registi e autori italiani forse più ammirati e lodati all’estero, rispetto all’Italia, è indubbiamente il mai dimenticato Marco Ferreri.
Accostabile per certi versi al cinema grottesco di Luis Buñuel e Alejandro Jodorowsky, il suo cinema, forte di una evidente influenza felliniana, ha catturato ed evidenziato aspetti del nostro paese destinati a ripetersi ciclicamente. Tale definizione è facilmente accostabile ad una delle sue opere più celebri e celebrate, DILLINGER E’ MORTO, una delle pellicole italiane più singolari, originali e surreali di sempre.
Glauco è un designer pubblicitario che torna a casa dopo una giornata di lavoro. Con la moglie malata a letto, decide di prepararsi qualcosa da mangiare. Mentre passa il tempo a cucinare, guardare vecchi filmini delle sue vacanze e giocare con la sua domestica, finisce per trovare una vecchia pistola avvolta in un ritaglio di giornale che annunciava la morte di John Herbert Dillinger avvenuta 35 anni prima a Chicago. Questo ritrovamento, in apparenza curioso e banale, finirà per convogliare Glauco lungo un percorso di pericolosa noia surreale dall’esito sinistramente tragico ….
Alienazione e ricerca spasmodica della pietra filosofale della felicità hanno trovato nel cinema post boom economico del dopoguerra terreno fertile. In particolare negli anni ’60, decennio dove la contestazione alla guerra del Vietnam e le paure di un apocalisse nucleare, figlia della guerra fredda, hanno finito per accentuare un desiderio sovversivo di mettere in dubbio tutto e tutti, benessere compreso. In questa cornice perfetta in superficie, dove l’estetica della casa gioca un ruolo fondamentale, ma deleteria nel profondo, troviamo un soggetto perfetto quanto singolare come il protagonista di questo film, interpretato con rara maestria e perfetta improvvisazione da un Michel Piccoli in stato di grazia, attore utilizzato con frequenza nel cinema di Ferreri e assai avvezzo al cinema weird europeo, basti citare THEMROC o LA GRANDE ABBUFFATA, quest’ultimo capolavoro grottesco dello stesso Ferreri.
In DILLINGER E’ MORTO si possono seguire due strade per dare un significato a quanto visionato. La prima è quella più evidente e ampiamente descritta dalla critica sin dalla prima uscita del film. L’eccessiva disumanizzazione dell’uomo contemporaneo (dove le maschere a gas mostrate più volte ne rappresentano la perfetta metafora), a causa del capitalismo sfrenato, è destinata a vedere tutto (morte altrui compresa), in maniera distaccata, asettica e persino annoiata. La seconda, più sottile e molto più terrena, è relativa alla premeditazione mascherata da casualità (il ritrovamento della pistola), solo per proteggere la propria coscienza e nascondere l’essere vigliacco autore dell’infame gesto.
Oltre a quanto sopra il film è un’incredibile vulcano di metafore e analisi sottili a 360° sull’uomo, sulle sue debolezze e sulla voglia sofferta di liberarsi dalle catene imposte dalla società, dove anche le scene apparentemente più banali, come la ricerca di una spezia in cucina, la visione di un vecchio filmato di vacanze opulente o di filmati realizzati solo con le mani, nascondono infiniti significati afferenti quanto sopra descritto. Anche se molto viene lasciato sospeso, finale surreale compreso o il rapporto di Glauco con la domestica/amante (la scena del miele non si dimentica facilmente), DILLINGER E’ MORTO cattura al meglio quanto creato dalla società moderna, caratterizzata dal consumismo sfrenato e spesso illogico, negli ultimi 60 anni, dove l’evoluzione tecnologica, anche quella attuale dei social network, ha finito solo per isolare ancora più le nostre sofferenze e paure primordiali. Capolavoro vero del nostro cinema!! VALUTAZIONE 5/5
H.E.
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