“E’ stupido, suicida e sadico avere dei figli in questo momento … le tre S … “
Con solo tre lungometraggi, diluiti lungo tre decenni, il sudafricano Richard Stanley si è ritagliato un piccolo spazio nel sole nero dell’estremo e della fantascienza. Poco prima dello sciamanico DUST DEVIL e del più recente e poderoso sci fi estremo COLOR OUT OF SPACE, il primo lungometraggio di Stanley è un piccolo film divenuto sin da subito un cult, per tutti gli appassionati del cinema di confine e non solo. Pur attingendo a piene mani dal cyberpunk statunitense e nipponico degli anni ’80, il film si presenta da subito, grazie a cromature infuocate, poderosa musica heavy metal e deprimenti atmosfere post apocalittiche, mostrando un micro cosmo imperniato su politiche sociali involutive e personaggi sopra le righe, caratterizzati in maniera sporca, violenta e che ben si addice in un nuovo mondo da ricostruire dalle fondamenta, fisiche e soprattutto etico morali.
In un nuovo mondo costruito faticosamente sulle ceneri degli Stati Uniti devastati dalle radiazioni, Moses, un raccoglitore di cimeli e rottami del passato, acquista per pochi dollari i resti di un robot recuperato a sua volta nel deserto rosso, con l’intenzione di regalarlo alla sua compagna Jill, un’artista amante delle costruzioni di metallo. Purtroppo per loro il rottame si rivelerà essere un robot costruito dal governo per scopi militari, in grado di rigenerarsi e di uccidere in maniera letale i suoi nemici. In un mondo già difficile e privo di futuro, Jill dovrà combattere duramente per non soccombere alla furia omicida del cyborg denominato M.A.R.K-13 …
Forte di musiche e camei di altissimo spessore, come Iggy Pop, Lemmy Kilmister e Carl McCoy, il film mescola sapientemente atmosfere western a fusioni cyperpunk, impreziosendo il tutto con scene deprimenti (una bambina legata con una corda alla madre defunta e in decomposizione) riferimenti biblici (il nome del cyborg in primis), erotismo, visioni psichedeliche e chiare linee dispotiche che trovano spazio attraverso le incessanti comunicazioni radio, che mirano alla sterilizzazione fisica e mentale dei sopravvissuti all’olocausto nucleare.
Quasi tutto ambientato nell’appartamento di Jill, il film riesce a non annoiare mai, alternando frangenti ai limiti dell’assurdo e situazioni survival esasperate alla TERMINATOR e ALIEN (anche qui il ‘mostro’ viene mostrato in maniera confusa), mettendo sempre al centro il conflittuale rapporto tra uomo e tecnologia esasperata, mostrata come un pericolo inevitabile quando è portata all’eccesso e soprattutto destinata a scopi violenti. Nonostante gli errori commessi dall’olocausto nucleare, questa umanità futura, si dimostra incapace di rimediare ai propri errori. Se le tematiche mostrate e narrate appaiono molteplici e significative, oggi più di trent’anni fa, la componente action ed estrema (violenza, sangue e gore abbonderanno) permette al film di non mollare la presa fino alla fine.
HARDWARE, film che segnerà indelebilmente il cinema sci-fi degli anni ’90 indipendente, è un’opera cupa, oscura e claustrofobica, da vedere o riscoprire … oggi più che mai!! VALUTAZIONE 4/5
H.E.
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