Dopo l’epica trilogia del milieu (MILANO CALIBRO 9, LA MALA ORDINA, IL BOSS), Fernando Di Leo continua a tracciare un solco indelebile nel cinema crime italiano, realizzando con IL POLIZIOTTO È MARCIO una delle opere più cupe, torbide, controverse e controcorrente del poliziesco italiano.
In una Milano perennemente in guerra tra criminalità e stato, un commissario, Domenico Malacarne, oltre ad eseguire arresti ed operazioni di polizia eclatanti, si è lasciato tentare da una organizzazione criminale dedita allo spaccio di sigarette e armi, finendo così al soldo della stessa. Quando però i piani di uno dei loro boss, tale Pascal, finiscono per intrecciarsi con i legami di sangue di Domenico, quest’ultimo si troverà costretto ad una scelta drastica da parte stare, se con o contro la legge e i propri interessi personali …
Ostracizzato sin dagli albori della sua realizzazione, forte del soggetto di Sergio Donati ispirato a sua volta dal romanzo ROGUE COP di P. McGirven, a causa del tema trattato (la corruzione di funzionari dello Stato Italiano), fino a lì solo marginalmente dal cinema italiano e mai così viscerale, questo crime noir sarà rivalutato come meritava solo con il passare del tempo, finendo per diventare un piccolo cult, non solo per gli appassionati dei polizieschi italiani. Merito di una regia di Fernando Di Leo incline e perfettamente in linea con il racconto, dove inseguimenti, violenza becera e scontri verbali politicamente di rottura, marchieranno di pessimismo la pellicola dal primo all’ultimo secondo, quest’ultimo sicuramente indimenticabile, in quanto imprevedibile e senza dubbio il pezzo forte dell’intera opera. A rendere tutto coinvolgente e privo di noia un grandioso un Luc Merenda nei panni di Domenico Malacarne, autore di una performance antieroica lucida e feroce, in grado di graffiare quando serve (il dialogo con il padre carabiniere è pura dinamite) nonostante la sua evidente anima nera venduta al diavolo della corruzione e del denaro sporco.
Per quanto concerne l’estremo, questo poliziesco rimane ancora oggi uno dei più violenti realizzati nel periodo d’oro nel nostro cinema crime, gli anni ’70, con sadismo e violenze perpetrate ad anziani, donne e animali senza freni, accentuate da una colonna sonora di un Luis Bacalov in stato di grazia.
Un’opera cinica, brutale e ovviamente marcia, come il cuore nero del suo corrotto protagonista. Una pellicola ormai cinquantennale da visione fondamentale … oggi più di ieri! VALUTAZIONE 4/5
H.E.
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