In un periodo storico, a cavallo dei primi due decenni del nuovo millennio, incredibilmente florido a livello internazionale per quanto concerne le pellicole ‘horror estreme’ (A SERBIAN FILM, THE HUMAN CENTIPEDE, MARTYRS, SECUESTRADOS solo per citarne alcuni) la risposta del cinema tricolore più estremo, fino ad allora in letargo o quasi per circa vent’anni, cadeva improvvisamente sulle spalle e film del giovane esordiente Raffaele Picchio, MORITURIS. Se la mannaia della censura italiana stroncava in modalità inquisizione medievale la pellicola, vietando improvvisamente la visione prevista nelle sale, il passaparola tra gli appassionati, reduci dai vari festival, finiva per promuovere e creare un piccolo culto legato a questo nuovo horror tutto italiano, negli autori e soprattutto nelle storie, radici e influenze cinematografiche dalle quali attinge. Dal famigerato massacro del circeo ai gladiatori più feroci fuggiti con il ribelle Spartacus nell’antica Roma del 73 a.c. circa (i disegni della presentazione iniziale sono pura poesia estrema), agli omaggi del cinema italiano d’annata (dalle visioni sullo sfondo IL BOIA SCARLATTO alla citazione brillante del capolavoro CANI ARRABBIATI del mai dimenticato Mario Bava gli omaggi si sprecano) rivelano un’attenzione particolare alla storia, recente e lontana, del nostro paese. Un pregio enorme da sottolineare, in quanto l’assurda moda di scimmiottare pellicole straniere, perlopiù americane, ha sempre destinato molte delle nostre pellicole horror degli ultimi tre decenni, al meritato dimenticatoio. Dopo un prologo corposo, che spazia da un eventi che mostrano un drammatico caso di pedofilia in famiglia al risveglio di un male proveniente da un passato lontano, nello specifico dei gladiatori di Spartacus, puniti dallo stesso per essere usciti di senno, assetati di sangue e usciti da un letargo temporale durato circa duemila anni, seguiamo dei ragazzi in macchina propensi al divertimento. Nello specifico tre ragazzi romani, con la scusa di un rave party, si recano in un bosco non lontano dalla periferia romana insieme a due ragazze rumene, conosciute la sera prima. Le due malcapitate, ingenue, finiranno per subire, al calare della notte, stupri e violenze di ogni genere da parte dei tre ragazzi, ben orchestrati telefonicamente dal loro mentore, anche lui avvezzo a torturare (con l’aiuto di un topolino) la malcapitata di turno nel suo appartamento. Qualcosa che vive nell’ombra però, sta per essere risvegliato nuovamente, in un luogo antico, cosparso di lapidi e mura con scritte romane, che finiranno per diventare un tragico monito per chiunque finisca nelle loro vicinanze: “Hic Sunt Leones”. Nonostante le molteplici difficoltà, durante e post produzione, da parte del regista e dei suoi collaboratori, il prodotto finale è, oggi più di allora, un vero gioiello estremo. Politicamente scorretto (dal linguaggio alle violenze perpetrate senza freni a vittime e carnefici), sporco come i più acclamati rape/revenge e torture degli anni ’70, selvaggio al punto giusto e caratterizzato da una italianità (di cultura e linguaggio) spesso ripudiata da tanti registi nostrani (anche acclamati) del genere horror. Pregi che finiranno per coprire e far dimenticare in presa diretta alcuni difetti, in particolare afferenti alcune recitazioni forzate e visioni fin troppo buie, nonostante l’ombra finirà per diventare un’arma utile per esaltare le gesta estreme dei gladiatori usciti prepotentemente dal limbo oscuro della storia romana. Menzione finale per musica e colonna sonora, decisamente in linea con gli eventi mostrati, in quanto riescono ad esaltare alla grande i momenti più violenti e sadici della pellicola, scena finale (indimenticabile) compresa. Uno degli horror estremi italiani più originali e riusciti degli ultimi 30 anni, in grado di unire passato e presente del nostro belpaese, evidenziando quanto il male può risvegliare, come in guerra, un male ancora più profondo, estremo e sanguinario! Imperdibile!! VALUTAZIONE 4/5
H.E.
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