Se questo non è il più grande film messicano degli anni 2000, poco ci manca. In un crescendo di emozioni sempre più forti, finiremo per entrare completamente, e senza respiro, in un mondo quasi parallelo e simile (ma uguale a nessuno) a quelli esistenti (o esistiti) nell’America latina. A rendere più incredibile la storia, è inevitabilmente il suo magnetico protagonista Don Plutarco, alla sua prima ed unica prova attoriale in una pellicola, interpretato da Ángel Tavira. Un uomo, venuto a mancare nel 2008, che racchiude la storia, le tradizioni messicane e latine solo attraverso lo sguardo, gli atteggiamenti ed un’eleganza unica nel trattare il suo violino, un’estensione naturale della sua anima. Tavira da bambino si vide amputare la mano destra a causa di un petardo. Questo non frenò la sua passione per la musica ed in particolar modo il violino, finendo nel tempo per diventare uno dei maggiori musicisti e compositori messicani di tutti i tempi. Francisco Vargas costruì sin da subito il film attorno alla figura del maestro, il quale non aveva mai, prima di allora, partecipato a nessun film e ovviamente non aveva mai studiato recitazione (escludiamo ovviamente il documentario ‘Tierra caliente… Se mueren los que la mueven’ del 2004 dedicato ai musicisti messicani).
Tavira rappresenta al meglio la forza naturale dei grandi uomini latini, destinati ad influenzare le generazioni future attraverso le proprie doti naturali, in questo caso la musica, espressione di libertà e oggetto unico di comunicazione e di umanità.
In un paese latinoamericano senza nome (che assomiglia molto al Messico), il governo combatte un’insurrezione rurale con torture, aggressioni, stupri e omicidi. I soldati scendono su un villaggio distruggendo il deposito di munizioni nascosto in un campo di ribelli. Una famiglia composta da nonno, figlio e nipote sono tra i ribelli più tenaci sulle colline. Il nonno (privo della mano destra) con il violino in spalla, cerca di superare il checkpoint, apparentemente per curare il suo raccolto di mais. In realtà passa informazioni ai ribelli e trasporta armi per conto loro L’ufficiale comandante, affascinato dalla musica del suo violino, lo lascia passare in cambio di una lezione di musica quotidiana …..
A colpire, prima della figura carismatica di Plutarco, è la fotografia in bianco e nero del film. Un bianco macchiato di un inchiostro sporco e nero come la pece, capace di mostrare al meglio sia le figure violente e prive di umanità dei soldati, che quelle colme di orgoglio e umanità come Plutarco, suo figlio ed il nipote, erede designato del nonno musicista.
Un’altra duplice forza trascinante del film, a posteriori vincente, è l’assenza di riferimenti spazio temporali e di una posizione geografica ben definita (siamo in linea di massima nella seconda parte del secolo scorso).
Se la pellicola è praticamente perfetta sotto tutti i punti di vista, dove le parole di Plutarco spesso sono pesanti come macigni, il finale è lapidario e armato di orgoglio, onestà e libertà che rischieranno di farvi scoppiare il cuore.
Le musiche, ad opera del maestro Tavira, sono semplicemente sublimi, emotivamente fortissime e sempre in grado di esaltare i momenti più estremi, drammatici e dolorosi del film.
Se cercate un capolavoro messicano ed estremo (la violenza non mancherà … bensì abbonderà) con la C maiuscola, EL VIOLIN non vi deluderà, lasciandovi tristi, confusi ma felici e consapevoli alla fine di aver visto qualcosa di cinematograficamente enorme! VALUTAZIONE 10/10
H.E.