Sulla scia del cinema di Lee Sang-woo, quello che si focalizza sugli ultimi e perdenti della società in maniera assai cruda, arriva il lungometraggio d’esordio di Lee Solhui. GREENHOUSE è un film che si focalizza sui mali più nascosti, repressi e oscuri delle famiglie coreane, quelle divorziate, più povere, mentalmente instabili e degli anziani lasciati soli. Un vortice nero destinato, come scopriremo strada facendo, a scivolare inevitabilmente verso un abisso oscuro ed estremo.
Moonjung è una badante con un figlio che frequenta la scuola media. Dopo aver divorziato, non sopporta di portarlo con sé, una serra di plastica che ha trasformato in una casa. Si sforza di raccogliere i fondi necessari per trasferirsi in una vera casa per lei e suo figlio, accudendo un paio di anziani. Le difficoltà però sono pronte a travolgerla, quando un incidente domestico la porterà a compiere un gesto fuori dal comune …
Un dramma a tinte forti dal respiro universale e a tratti simile al neorealismo di Roberto Rossellini. La guerra questa volta è all’interno delle mura domestiche e nel cuore avvizzito dei tanti protagonisti che ruotano attorno a Moonjung, dal figlio alla madre, dagli anziani che serve all’amante misterioso, per finire poi ad una ragazza mentalmente instabile e facilmente influenzabile. Un faro catalizzatore imperfetto, incapace di scelte coerenti, figlie di un passato doloroso, rovinoso e drammatico. Nonostante la regia sia minimale e alcuni frangenti, nella parte centrale, risultino fin troppo ripetitivi, nella parte finale il film accelera deciso verso l’estremo, chiudendo un cerchio amaro della vita vera degli ultimi.
GREENHOUSE è l’ennesimo disturbing drama coreano che non fa sconti a nessuno dei molteplici protagonisti, uno specchio duro e triste della vita, quando questa ti trascina a fondo senza possibilità di riemergere. Da vedere!! VALUTAZIONE 3,5/5
H.E.
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