HONEY BOY (2019) di Alma Har’el

HONEY BOY, nato da una sceneggiatura autobiografica di Shia LaBeouf (noto attore hollywoodiano), è un film rispecchia parzialmente la sua infanzia e gli anni difficili vissuti dopo un arresto in età adulta. Quello che scaturisce fuori da questa sceneggiatura semi autobiografica è un’opera drammatica alquanto insolita e particolare, che scorre su due binari temporali distinti ma incredibilmente connessi tra loro, uno specchio dell’altro.
Una visione struggente, scorbutica e dolorosa della vita di Shia LaBeouf da bambino e poi da poco più di ventenne, dove il padre ricopre, nel bene e soprattutto nel male, un ruolo determinante e decisivo nella sua formazione. Se nel film il protagonista si chiama Otis (e non come il suo sceneggiatore e ispiratore), il padre difficile dello stesso sarà interpretato proprio dalla stesso Shia LaBeouf, in un circolo chiuso e contorto di ricordi, rancori e tentativi di ripercorre senza errori un passato alquanto burrascoso.
A 12 anni, Otis comincia a lavorare nel mondo della televisione sotto la custodia del padre James, un veterano del Vietnam ed ex carcerato. Quando non è sul set, Otis trascorre le sue giornate in un motel degradato ai confini della città con il genitore ed i suoi metodi di vita ‘borderline’, abusiva ed ai limiti della legalità. Otis oramai ventenne e lontano dal padre continua a lavorare nel mondo del cinema con discreto successo. Un incidente però lo porta ad affrontare nuovamente i demoni del passato, attraverso una serie di flashback a partire da quando la vita artistica di suo padre James finiva a rotoli e rischiava di compromettere la sua pronta a decollare …..
HONEY BOY è un ‘opera a tratti quasi teatrale che alterna continuamente frangenti nevrotici ed impazziti ad altri lenti, compassionevoli, destinati questi a molteplici analisi comportamentali di Otis e di quanto il padre ne abbia influenzato il futuro. Se da una parte l’accesso suo nel mondo dello spettacolo sia avvenuto grazie al padre (James era parte delle maestranze dei vari film girati ad Hollywood), e quindi vi è una componente debitrice mai nascosta, di contraltare un’altra finì per creare ed alimentare un’anima nera e oscura destinata ad esplodere in età adulta. Solo attraverso una reclusione forzata, con annessa analisi interiore ad opera di una psicanalista, costringerà Otis a prendere coscienza, attraverso una diario quotidiano, delle negatività trasmesse dal padre, della rabbia ereditata dallo stesso, dell’amore mai dimostrato da parte sua (James in pubblico non lo prendeva mai per mano, in quanto condizionato da accuse di molestie che lo portarono in carcere) e dell’invidia dello stesso nei suoi confronti, umiliandolo e minacciandolo più volte di abbandono. Se i due attori che interpretano Otis (Lucas Hedges da ventenne e Noah Jupe da dodicenne) sono impeccabili e sempre sul pezzo, è la prova di Shia LaBeouf in quella del padre a rimanere impressa nella mente. Una recitazione superlativa e viscerale quanto mai vera e sentita, capace di emozionare attraverso la visione di un personaggio triste, emotivamente instabile e consapevole, a fatica, dei propri limiti e difetti. Un film molto ‘american style’ basato sul rapporto padre – figlio, capace di scavare in profondità e di focalizzare con estrema lucidità quanto sia forte l’influenza genitoriale sul percorso futuro di un figlio, attraverso un percorso diseducativo ma capace di scalfire solo in parte la sua personalità ed in questo caso carriera futura. Niente male! VALUTAZIONE 3,5/5

H.E.