I QUATTRO DELL’APOCALISSE (1975) di Lucio Fulci

Nel cuore di una filmografia immensa, per quantità, diversità e qualità, come quella del grandissimo Lucio Fulci, I QUATTRO DELL’APOCALISSE merita un posto in prima fila assieme ai suoi capolavori più celebrati, come NON SI SEVIZIA UN PAPERINO e L’ALDILA’. Non certo all’epoca, in quanto è storia nota la bassa considerazione della critica nei confronti dei suoi lavori. Per fortuna il tempo è galantuomo, e oggi, critica, registi e pubblico, guardano a Fulci come un maestro del cinema, unico nel contaminare generi diversi senza snaturali, mettendo in evidenza momenti estremi, con splatter e gore spesso inattesi, e drammatici, mettendo in rilievo personalità controcorrente e battagliere per natura, caratteristiche tipiche di chi vive spesso ai margini.
Utah, 1973. Stubby Preston è un giocatore d’azzardo e noto per essere un baro. Quando mette piede a Salt Flat lo sceriffo del posto, non ci pensa su due volte prima di sbatterlo al fresco e portargli via i ferri del mestiere, finendo in cella assieme ad una bella prostituta incinta, ad un nero ossessionato dai morti ed un alcolizzato con evidenti problemi mentali. Mentre il paese è messo a ferro e fuoco nella notte da una banda di criminali e assassini, il mattino seguente Stubby, grazie a dei soldi nascosti nel stivale, riesce ad andarsene da Salt Flat assieme ai suoi nuovi tre compagni di avventura. Il quartetto viaggia senza meta attraverso le Utah Badlands in cerca di cibo, acqua e persone da imbrogliare. Finiscono però nel mirino di un bandito messicano e meticcio, di nome Chaco. Quest’ultimo finirà per drogare con il peyote Stubby e gli altri, ed abusare sessualmente della prostituta Bunny. Dopo averli legati nel deserto, destinandoli così ad una fine misera, Chaco se ne va senza ucciderli. Stubby e gli altri sopravvivono, giurando cosi vendetta …..ma la strada per la rivalsa sarà tutt’altro che facile…
I QUATTRO DELL’APOCALISSE, liberamente ispirato ai racconti di Francis Brett Harte, pur non essendo il primo film western di Fulci, mostra una frontiera quasi apocalittica ed in parte rivoluzionaria per il nostro cinema dell’epoca, come si evince dal titolo, priva di umanità, di eroi e personaggi leggendari. Lontana dagli spaghetti western ed in parte più vicina alla frontiera estrema di Sam Peckinpah, questa pellicola non teme di avventurarsi in analisi dei suoi protagonisti come fosse una tragedia greca o ad un noir francese.
A rendere memorabile questo film abbiamo una sceneggiatura strepitosa, una messa in scena mai banale, capace di passare con disinvoltura da un villaggio fantasma ad ambienti aridi senza luce, e per finire una serie di protagonisti, primari e secondari, leggendari analizzati psicologicamente in maniera egregia nel corso dell’evoluzione della storia. Se Fabio Testi interpreta al meglio la figura del giocondo baro Stubby e la bellezza naturale di Lynne Frederick nei panni di Bunny è magnetica, il premio di figura dominante della pellicola aspetta al cattivo, viscido e cinico Chaco. Ruolo interpretato da un mefistofelico e selvaggio (ispirato a suo dire da Charles Manson per la parte) da un travolgente Tomas Milian, per l’occasione non doppiato.
Se la prima parte non risparmia violenza, torture, splatter, massacri, sparatorie sanguinarie e perfino cannibalismo, la seconda diventa quasi straziante e drammatica, dove il cambio di carattere di Stubby, dovuto ad un evento che mescola gioia e dolore, finirà per determinare la vendetta senza sconti tanto desiderata e sognata. Opera cupa, violenta e selvaggia, meritevole di essere affiancata ai più grandi western italiani di sempre ad opera di Sergio Leone e Sergio Corbucci. Filmone vero e piacevolmente estremo! VALUTAZIONE 9,5/10

 

H.E.