LEVEL 16 (2018) di Danishka Esterhazy


Vivien e Sophia sono ospiti di un collegio femminile dalla disciplina rigidissima: ai progressi nell’educazione corrisponde un passaggio al livello successivo. Un incidente al Livello 10 separa le due amiche che si ritroveranno al livello 16 e scopriranno cosa si cela veramente dietro quell’istituto dedito all’insegnamento delle virtù femminili. Dal dramma storico/sociale di “The Magdalene Sisters” (2002, Peter Mullan) all’onirico/allucinatorio in piattaforma multiplayer “The Sucker Punch” (2011, Zack Snyder), il filone del “collegio femminile” presenta una narrazione in cui il “coming of age” della protagonista matura in contrapposizione ad un Potere sovente venato di misoginia. L’abuso e la negazione del femminino eretto a Sistema. Apparentemente ambientato negli anni 50, la pellicola ci racconta un Istituto che si occupa di dare un’educazione a delle (presunte) orfanelle per agevolarne l’adozione, tratteggiandolo con un carattere fortemente dispotico e distopico. Totalitario. Le divise delle ragazze, le ambientazioni, le sedute educative davanti ad un monitor catodico in bianco e nero. Omaggiano in tutto all’atmosfera di “1984” (1984, Michael Radford), incluso il senso di pericolo incombente, la punizione in arrivo per chi abbandona anche solo per un attimo l’ortodossia. Le telecamere di sorveglianza, un fish-eye assolutamente vintage, rimandano anche a “Brazil” (1985, Terry Gilliam) che aggiornava un anno dopo il film e 37 dopo il romanzo di George Orwell il tema portandolo nella post-modernità. E un certo tema narrativo di “Brazil” diventa qui motivo strutturante. Le particolari cure medicali cui sono sottoposte le ragazze, dissimulate per loro e per lo spettatore con un panorama dai toni post-apocalittici (non si può uscire all’esterno: l’aria è avvelenata), riassumono in sé sia suggestioni del complottismo nato negli anni 50/60 (progetto MK Ultra), che le riflessioni contemporanee sul rapporto tra Scienza e umanità. Con la Scienza medica (e la Cosmetica) ad intrecciarsi nel plasmare l’essere umano per raggiungere un ideale di Perfezione. Intrecciarsi a livello di doppia spirale del DNA per essere pignoli. Da “Antiviral” (2012, Brendon Cronenberg) a “La cura dal Benessere” (2017, Gore Verbinsky) ritornando all’utilizzo della Scienza Medica che in “1984” il Partito fa per ridurre Winston Smith alla pura ortodossia, si chiude il cerchio distopico della “corrispondenza di amorosi sensi” tra Scienza e Potere: non è importante che “il Dogma” corrisponda a Verità. L’importante è somministrarlo con vigore e costanza per mantenere diligenti gli schiavi nel recinto. Anche se le finalità dell’Istituto sono facilmente intuibili da un appassionato di genere, la costruzione narrativa è solida e dissemina con perizia indizi come tessere di un puzzle: prese una alla volta non dicono nulla. Poi cominciano a trovarsi gli incastri lasciando che lo spettatore scopra la verità con lo stesso passo delle due protagoniste. La forza di questa pellicola è quella di sviluppare un tema horror “classico”, esplorato in “The Skeleton key” (2005, Iain Softley) e ripreso da “Get out” (2017, Jordan Peele), utilizzando un linguaggio del tutto differente (la sci-fi distopica con forti connotati politici), che coniuga un canone da “coming of age” (il raggiungimento dell’età adulta) a quello dell’amicizia tra ragazze. Il tutto in una costruzione da thriller onirico, una vera e propria discesa agli inferi che culmina nel trovarsi faccia a faccia con l’orrore. E qui ci scappa un piccolo rimando visuale a quello che c’è sotto la “facciata di umanità” dei padroni alieni visti in “Essi Vivono” (1988, John Carpenter). Pur condividendo con “St. Agatha” (2018, Darren Lynn Bousman) quasi il medesimo soggetto, e lo sesso messaggio socio-politico, “Level 16” in realtà è più simile a “L’invasione degli ultracorpi” (1956, Don Siegel) infondendo al concetto di “alienazione” marxista un sapore del tutto nuovo. VALUTAZIONE 3,5/5 Review by Samaang Ruinees <br>