Ottavo film di Quentin Tarantino, otto personaggi (quelli principali) caratterizzati da una fortissima personalità e carisma da vendere, colonna sonora marchiata a fuoco dal maestro Ennio Morricone e una sceneggiatura ricchissima di contenuti, perlopiù storico-politici, che fanno da cornice ad atmosfere giallo-thriller come non mai il cinema del celebre regista italo-americano ha regalato al pubblico di tutto il mondo. Wyoming, qualche anno dopo la fine della guerra civile americana. Il cacciatore di taglie John Ruth e la propria prigioniera Daisy Domergue sono attesi nella città di Red Rock, dove quest’ultima è destinata a morire per impiccagione. A causa di un’improvvisa bufera di neve, la diligenza che li trasporta è costretta a fare una deviazione, dirigendosi verso l’emporio di Minnie. Prima di giungervi però, la diligenza finisce per raccogliere, in tempi diversi, lungo il percorso due uomini rimasti senza cavallo. Il maggiore di colore Marquis Warren, cacciatore di colore ex schiavo ed ex commilitone dell’Unione nordista, e il nuovo sceriffo (o presunto tale) di Red Rock Chris Mannix, figlio minore del celebre capo dei Mannix Manhunters, una banda che mise a ferro a fuoco la Carolina del Sud alla fine della guerra civile, facendo ‘pulizia’ di neri, nordisti e tradistori della causa sudista. Una volta giunti all’emporio, qualcosa non quadra. Minnie non c’è, e la baita è gestita dal signor Bob, un burbero messicano al quale Minnie ha lasciato in mano l’emporio per far visita alla madre malata. Inoltre all’interno dell’emporio vi sono 3 uomini di diverse origini (un inglese, un vecchio generale sudista e un cowboy) che ispirano diffidenza da parte di Marquis e soprattutto di John, diffidente di chiunque considerato il suo prezioso bene, Daisy, destinato alla forca ……..Se Django Unchained aveva reso felici i tantissimi fan di Tarantino, grazie ad un dinamismo estetico e nei dialoghi che ricalcava stilemi classici del suo cinema, dall’altra ha lasciato dell’amaro in bocca a chi si aspettava un film western più sporco, psicologico e originale, considerato l’amore viscerale di Tarantino per il genere western. Questa sensazione, almeno per chi scrive, è nata subito dopo aver visionato sul grande schermo i primi sensazionali minuto di questo film. L’intro di Ennio Morricone ‘L’Ultima Diligenza di Red Rock’ mette subito in chiaro , grazie ad tema musicale pieno di inquietudine destinato a ripetersi nei momenti cruciali della pellicola, che stavolta la direzione di Tarantino sarà completamente diversa a quanto visionato nel suo lavoro precedente e soprattutto nel cinema western. Questo nonostante le molteplici ispirazioni (IL GRANDE SILENZIO di Corbucci su tutti) del genere, comprese alcune serie Tv d’annata (BONANZA, IL VIRGINIANO e AI CONFINI DELL’ARIZONA) che ritorneranno a segnare il suo ultimo lavoro ONCE UPON A TIME … IN HOLLYWOOD, però in chiave più ironica e goliardica. Complici le musiche della colonna sonora, alcune riprese da lavori scartati dallo stesso Morricone da LA COSA di John Carpenter. Un film che alla lunga distanza finirà per diventare quello che più si avvicina alle atmosfere claustrofobiche (complice senza dubbio la figura del sempre unico Kurt Russell e dell’ambiente innevato all’esterno) di questo western, che troverà nell’isolamento forzato e nella ricerca del ‘colpevole’ la forza trainante della pellicola. Questa, suddivisa in 6 distinti capitoli, finirà per spaziare dai rancori rabbiosi rimasti dopo la fine della guerra civile, un altro punto di forza e strumento fondamentale per costruire le figure controverse dei suoi protagonisti. Tutti (o quasi) manigoldi e farabutti del West americano, che non esitano a condannare a morte una donna o ad ammetter di aver ucciso decine di persone per razzismo o per denaro. La virata nel giallo (stile DIECI PICCOLI INDIANI di Agatha Christie) e perfino nell’estremo e dove si sfiora più volte l’horror (le vomitate di sangue riportano alla memoria decine di film classici di infetti, LA COSA succitata compresa), dove finalmente lo splatter e gore trovano degnamente spazio in un lavoro di Tarantino, diventandone momenti cardine della storia (sparatorie con tanto di teste e ‘huevos’ esplose). Senza spolierare (esiste qualcuno che non ha visto questo film?) il cuore del film diventerà quella famosa lettera scritta da La lettera di Abramo Lincoln al maggiore Marquis Warren (‘La cara vecchia Mary mi sta chiamando, immagino sia ora di andare a dormire’). Un simbolo prepotente quanto viscido che dimostra quanto la nazione americana sia stata fondata in passato su menzogna ed ignoranza del popolo (suo e altrui), caratteristiche che nel secolo scorso (e anche in quello nuovo ahimè) hanno trovato spiacevoli conferme. Inutile sottolineare la perfezione assoluta delle performance attoriali (con Samuel L. Jackson ai livelli esaltanti di PULP FICTION), della fotografia, con interni colmi di insidie ed esterni mozzafiato (l’incontro nella neve tra Marquis ed il figlio del generale sudista è puro horror estremo) e l’incrocio temporale (classico del suo cinema), quanto mai funzionale (proprio come nei cult anni ’90) ed in grado di incidere pesantemente sulla trama estremamente coinvolgente. THE HATEFUL EIGHT non solo è il film più estremo di Quentin (regista per fortuna mai banale, osannato come pochi dal grande pubblico e sempre elogiato dalla critica), bensì rappresenta forse al meglio la sua anima più ‘seria’ e desiderosa di stupire ( e rivoluzionare il cinema, come fatto nei suoi cult anni ’90) grazie ad una sceneggiatura fenomenale e non solo attraverso citazioni esasperate, le quali se da una parte lo rendono un gigante del cinema dall’altra hanno finito per ridimensionare alcune sue opere da una parte della critica cinefila. Se non è un capolavoro questo …. VALUTAZIONE 5/5
H.E.
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