Arriva dalla polverosa Australia lo slasher principe del nuovo millennio. Il regista, al suo esordio, abbandona i clichè che hanno reso questo sotto genere tra i più amati negli ultimi 30/40 anni. Niente fotomodelle o giocatori di football bellocci, niente casette o campi estivi da massacrare, ma sopratutto niente personaggi mascherati, complessati o con cicatrici da macchietta. Le vittime predestinate sono un paio di ragazze normali ed un ragazzo un pò tontolone, mentre il cattivone di turno si chiama Mick Taylor, ed è interpretato magnificamente dall’attore John Jarratt. ll film è basato su una storia realmente avvenuta negli anni novanta australiani: uno spietato serial killer, Ivan Milat, sceglieva come vittime soltanto i turisti che portavano il sacco a pelo.
Greg McLean parte con il freno a mano tirato, per quanto concerne la suspence e la violenza, sicuro di mollarlo al momento giusto, accelerando prepotentemente nella seconda parte e lasciando alla prima il tempo di conoscere personaggi e luoghi delle future battaglie sanguinarie. Bravissimo anche a presentare per bene l’outback australiano con una serie di luoghi e personaggi, esempio il bar, che sembrano sputati fuori dal leggendario WAKE IN FRIGHT di Ted Kotcheff e naturalmente il “wolf creek”, un enorme cratere meteoritico. L’entrata in scena del serial killer avviene con il sorriso e con la scusa del buon samaritano, liberando la sua vera natura solo nella parte finale, dove viene finalmente permesso a Mick di “sfogarsi” a modo suo.
Ecco la trama iniziale: Liz, Kristy e Ben sono in viaggio in auto alla scoperta dell’outback australiano. Dopo un’escursione nel parco nazionale di Wolf Creek, i tre scoprono che la loro auto non parte. Un aiuto inatteso arriva da un carro attrezzi guidato da Mick, che si offre di riparare la macchina, dopo averla condotta alla sua officina. Una volta lì i ragazzi si addormentano intorno a un falò, mentre il meccanico comincia a lavorare. Ma quando Liz si sveglia si trova legata e imbavagliata. È l’inizio dell’incubo……
Indimenticabili alcuni passaggi della pellicola. I dialoghi di dubbia ironia attorno al fuoco tra Miike ed i tre ragazzi, ma soprattutto un nuovo marchio di fabbrica “slasher”, ovvero “head on a stick”, tradotto più o meno in “mettere una testa su uno stecco”: una lacerazione della colonna vertebrale per paralizzare la vittima di turno senza pietà od esitazione. Una sequenza micidiale. Un horror semplice di nuova generazione che ci costringe a fare il tifo, stranamente, per il cattivo di turno, sarcastico, accattivante, senza peli sulla lingua, ma feroce e brutale come il più spietato dei predatori della savana, anzi…dell’outback australiano 😀 . Indimenticabile cult del cinema horror ed estremo del nuovo millennio. VALUTAZIONE 4/5
H.E.
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