BLIGHT OF HUMANITY (Pesthauch der Menschlichkeit) del 2020 di Marian Dora

Dopo alcuni anni di silenzio artistico, il controverso regista tedesco Marian Dora torna con ben due nuovi film, distinti e non collegati tra loro: Pesthauch der Menschlichkeit e Das Verlangen der Maria D.Cosa dobbiamo aspettarci da uno degli autori underground più estremi, amati ed allo stesso tempo più criticati dal sottobosco cinefilo più avvezzo all’estremo? Marciume, sporcizia, eccessi e violenza senza limiti. BLIGHT OF HUMANITY, titolo internazionale, mette subito in chiaro nei primissimi minuti cosa ci aspetta in seguito, sia per la violenza (nell’incipit diversi insetti saranno massacrati senza pietà) che nell’estetica, con una fotografia, che prosegue quanto visionato in CARCINOMA, accurata, eterea, sofisticata, dai colori decadenti e dalla vena decisamente pessimista. Germania. La passeggiata domenicale di tre soggetti (il nano Frak, la ragazza Marietta ed il barbuto Verus) completamente diversi tra loro, attraverso il paesaggio naturale di fine estate, li conduce in un laghetto immerso nel verde e nella natura. Qui le loro primitive sofferenze e debolezze umane esploderanno in oppressione, superiorità e umiliazione, prima nei confronti degli animali e poi tra di loro ……. La prima mezz’ora, esclusi i minuti iniziali sopra citati, possono ingannare lo spettatore meno avvezzo al cinema di M. Dora, in quanto la storia appare come un semplice viaggio iniziatico ampiamente sperimentale per dei freaks, esteticamente e interiormente. Da metà in poi tutto il contesto semi spirituale ed etereo va decisamente a farsi benedire, in quanto si scivola in maniera irreversibile verso un pozzo nero di inaudita e becera violenza, con torture che spaziano dal sadomaso a iniziazioni carnali putride, dove feci, carni, fango e fluidi corporei si mescolano tra di loro in maniera assai vomitevole. Tra omaggi nemmeno troppo velati al CANNIBAL HOLOCAUST di Ruggero Deodato e frangenti che riportano alla memoria un altro film super estremo di M. Dora, MELANCHOLIE DER ENGEL, finiamo per seguire inermi e scioccati visioni deliranti e senza senso alcuno, destinate a scioccare sicuramente (grandi protagonisti saranno gli impalamenti in stile Vlad di maialini, pesci e non solo) ma anche a creare grossa confusione se quell’incarnazione mistica tanto evocata dal regista nella presentazione del film sia destinata a rimanere solo sulla carta o nascosta sotto una superfice malsana. Le interpretazioni dei tre protagonisti, in particolare del nano e della ragazza, sono soprattutto carnali (l’unico a parlare è ogni tanto il barbuto Verus). I tre soggetti sono infatti fusi completamente con il contesto naturale iniziatico e primordiale che li circonda, il quale diventa specchio di una violenza (dis)umana dalla quale è impossibile fuggire e nella quale, sempre secondo il regista da sempre, siamo destinati a rifugiarsi per cercare un piacere estremamente doloroso ed allo stesso tempo edificante sinonimo di salvezza eterna. Girato con una cura maniacale ed una cura invidiabile per buona parte dei registi indipendenti, nonostante l’evidente basso budget a disposizione, Marian Dora fa centro nuovamente per chi ama il suo cinema. Per gli altri, è meglio girare al largo, in quanto tali visioni estreme non sono adatte ad un pubblico facilmente impressionabile! Estremo D.o.p.!! VALUTAZIONE 3,5/5

H.E.

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