COW (2022) di Andrea Arnold

La ‘vita’ degli animali negli allevamenti intensivi è stata spesso oggetto di documentari estremi, destinati a mettere in luce, ved. DOMINION o LUCENT (tanto per citarne un paio tra i più devastanti visivamente), gli orrori della natura umana desiderosa di sfruttare al massimo e oltre i limiti le potenzialità nutritive degli animali. Dopo alcuni film di discreto successo, perlopiù di stampo drammatico, la regista inglese Andrea Arnold si cimenta con il documentario, quello più crudo, puro ed essenziale. Protagonista del suo lavoro, durato circa 3 anni, una mucca, la n. 11 29, allevata in una fattoria semi intensiva nelle campagne del Kent inglese. Per chi è all’oscuro di come ettolitri di latte siano sputati fuori in quantità industriale dagli allevamenti intensivi, devono sapere che le mucche sono inseminate continuamente per procreare e fare di conseguenza latte, fino a quando non saranno più utili per questo. Andrea segue la routine quotidiana e mensile della mucca n. 11 29, la quale è destinata a soffrire quando il vitellino appena nato le viene tolto e deve seguire le rigide regole imposte dagli allevatori, come la mungitura forzata e non dovuta. A rendere per nulla noioso questo lavoro efficace ma privo di effetti tecnici superlativi, faziosi o virtuosi, saranno proprio le analisi silenziosi degli occhi della mucca, il suo muggire e quegli strani ‘sguardi’ a volte rivolti verso la camera da presa o addirittura verso il sole e le stelle, mostrando una consapevolezza esistenziale intuibile e quasi certa della sua natura psicologica e intelligente. La sofferenza accennata sopra del distacco dei suoi tanti figli, se sono figlie tanto meglio per l’allevatore (sul sopra citato DOMINION vediamo bene che fine fanno la maggior parte dei vitellini maschi appena nati), rappresenterà un primo dolore ma non certo l’unico subito dalla n. 11 29 (e dal vitellino stesso, costretto a subire la bruciatura a vivo delle corna), costretta ad una vita automatica che non la priverà di provare paura, tensione, nervosismo e isteria per gli stress subiti. Un’opera minimale ma per nulla superficiale, dove il finale, inevitabile, getterà ancora più ombre sull’operato umano di questi allevamenti. Nonostante tutto la regista non giudica, bensì dimostra di voler condividere e rendere partecipe, anche solo con la visione, chi è all’oscuro della vita animale bovina nella fattorie moderne. Una visione semplice quanto ricca di emozioni … perlopiù negative e per nulla edificanti. Documentario amaro quanto fondamentale! VALUTAZIONE 4/5

H.E.

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