Alienazione, ansia e fiumi di inadeguatezza di vivere in questo esordio strampalato, solo in apparenza, di Ronald Bronstein. Quest’ultimo sforna un indie d’altri tempi, sporco e incentrato sul malessere esistenziale perpetuo del giovane omuncolo newyorkese Keith, autodefinitosi ‘troll’. Un giovane che vive di espediente balordi, vende porta a porta improbabili buoni per l’alzheimer e la sclerosi multipla, sopravvive in un bilocale con un coinquilino più al verde di lui, ha una ragazza che soffre di depressione, masochismo e istinti suicida, ed infine ha un ‘amico’ che proprio non lo vuole vedere e soprattutto ascoltare. Ad aumentare la sua confusione quotidiana, una difficoltà estrema nel dialogare con gli altri a causa dell’incapacità di comporre almeno due frasi di senso compiuto.
Il titolo riprende una canzone di Captain Beefheart, cantante, artista e musicista americano per nulla convenzionale.
Girato in modalità mockumentary sporca e sgranata, questa pellicola ha tutto per farsi amare, in quanto travolge lo spettatore con tutta la sua carica ansiogena e sinistramente ironica. Un affresco contemporaneo, o meglio dei primi anni duemila, che sfiora il trash solo parzialmente, in quanto affronta, in maniera impietosa, la difficile vita di chi non riesce ad allinearsi ai binari della società attuale, più convenzionale e fondata su lavoro a ritmi frenetici.
Per chi perde il treno il rischio di finire per sempre nell’inferno del margine appare inesorabile. Questo è tanto altro appare e viene abilmente filtrato dalla prova assai convincente di Dore Mann, attore sconosciuto ma bravissimo nei panni del bislacco Keith.
Un visione tragicomica che fotografa al meglio la sofferenza di una grossa fetta generazionale degli anni duemila. Imperdibile!! VALUTAZIONE 3,5/5
H.E.
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