Dopo due capolavori assoluti come ‘El abrazo de la serpiente’ e ‘Pájaros de verano’ le aspettative per il nuovo film del colombiano Ciro Guerra erano sicuramente altissime. WAITING FOR THE BARBARIANS, tratto dal romanzo omonimo di J. M. Coetzee, ha solo in parte soddisfatto tali aspettative, prediligendo un film più terreno e convenzionale, nonostante l’ambientazione non sia storica ma del tutto inventata, quasi mai onirica o surreale rispetto ai due film sopra citati e che hanno reso Ciro Guerra uno dei registi più significativi degli ultimi dieci anni. Un magistrato, prossimo oramai alla pensione, gestisce da anni un avamposto alle frontiere, a ridosso di uno deserto sterminato, di un impero senza nome. Fino ad allora lui e le popolazioni nomadi e barbare del deserto hanno convissuto in totale indifferenza. Quando un colonello Joll, inviato dall’impero per valutare i pericoli dei barbari lungo il confine, giunge nell’avamposto, la vita del magistrato, e poteri annessi, cambierà radicalmente. Il colonello Joll, dopo aver catturato e torturato alcuni nomadi catturati nel deserto, accusati di essere dei pericolosi barbari, costringerà il magistrato a prendere una posizione netta nei confronti dei barbari e soprattutto di fedeltà all’impero. Il magistrato uomo di cultura e di pace, non riesce a comprendere quali siano questi fantomatici pericoli, mai avvertiti fino ad allora. Quando però si innamorerà di una donna barbara torturata alla quale, i soldati di Joll, hanno spezzato le gambe e ucciso il padre, la sua posizione, agli occhi dei soldati dell’impero, finirà per tramutarsi da neutrale a traditore, con conseguenze distruttive per lui e con una minaccia per la pace mantenuta senza mai cercare alcuna guerra o nemico ……..L’analisi, neppure troppo velata, sul colonialismo europeo attraverso una storia di finzione che abbraccia epoche e continenti diversi in un colpo solo, permette al regista di dissezionare la natura umana in maniera cruda, spietata e feroce. Un’osservazione estrema mitigata da una narrazione romanzata ed in linea con la natura mite del suo protagonista, la quale sarà in conflitto costante con questo desiderio di fame conquistatrice da parte dell’impero, amplificato dai suoi bracci armati, come il colonello Joll ed il suo fido assistente Mandel. Punti di forza della pellicola, oltre alle succitate analisi sul colonialismo bianco, sono un’ambientazione desertica che unisce in un colpo solo Africa (deserto del Sahara), Asia e Sud America ( i barbari sono un mix tra mongoli e nativi americani), attori di prim’ordine (oltre al protagonista interpretato da Mark Rylance abbiamo Johnny Deep nei panni dell’occhialuto colonello e Robert Pattinson nei panni di Mandel, oltre ad una meno nota ma bravissima Gana Bayarsaikhan nei panni della barbara torturata), sono le violenze ai danni dei nomadi/barbari, per nulla lontane da quelle realmente perpetrate ai danni dei popoli conquistate da parte dei colonizzatori europei (quello dei filo di ferro che unisce una fila di prigionieri è terrificante). Pur essendo confezionato a meraviglia (regia e fotografia impeccabili come sempre), il film pone più domande che risposte, finendo per lasciare troppi spazi vuoti nella sceneggiatura, troppo vacua in alcuni passaggi, finendo per faticare più volte senza mai incidere come avrebbe potuto. Ottimo il finale,, dove le previsioni vaneggiate di una guerra necessaria, secondo Joll, per non essere inghiottiti dal male oscuro dei barbari, finirà per divenire inevitabile, rischiando di dare ragione proprio a chi appariva troppo sicuro di rompere quella pace, tenuta faticosamente in piedi da chi non ne vedeva la necessità. Un buon film ma lontano, per incisività dei contenuti e loro evoluzione, dai due capolavori citati in precedenza. VALUTAZIONE 3,5/5
H.E.
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