“Io adoro quella casa, ha un’anima! È dove abbiamo lottato, mamma. Tu dici che lì abbiamo vissuto una brutta esperienza. Io dico che lì siamo sopravvissute”.
Il cinema americano nel secolo scorso ha creato una serie di miti inossidabili nel panorama horror, misterioso e fantastico, anche e soprattutto al di fuori dei confini statunitensi. Dai serial killer indistruttibili alle famiglie disfunzionali, da tremendi casi irrisolti alle case infestate. Un insieme di elementi e tematiche horror (ed estreme come le purtroppo celebri stragi scolastiche) spesso andate a braccetto con la realtà delle cronaca nera, vera o presunta. Un vero e proprio bignami di questa immensa cultura dedicata all’horror è rappresentato dalla serie AMERICAN HORROR STORY, giunta oramai alla nona stagione, ognuna autonoma e basata su un ben definito sottogenere horror.
Il primo amore non si scorda mai. Questo banale concetto vale proprio per la prima stagione della serie, denominata solo successivamente MURDER HOUSE, per differenziarla dalle altre. Un storia che potrebbe chiamarsi ad oggi “C’era una vilta nell’America degli Orrori’, considerato l’arco temporale che abbraccia (dagli anni ’20 del secolo scorso fino al 2011), utilizzando flashback ed eventi dipanati nel tempo afferenti la casa degli omicidi protagonista silenziosa (o quasi) dei 12 episodi. Finzione sì ma senza rinunciare a inglobare la Storia macabra vera come quella afferente il brutale omicidio di Elizabeth Short (the Black Dahlia).
Siamo nel 2011. Gli Harmon (padre, madre e figlia adolescente) di Boston decidono di trasferirsi a Los Angeles per ripartire dopo i conflitti famigliari che hanno portato Vivien a d avere un aborto spontaneo dopo aver scoperto il marito Ben, uno psichiatra, a letto con una sua studentessa. Ingolositi dal prezzo, gli Harmon acquistano una casa costruita negli anni ’20, celebre a LA per essere teatro negli anni di numerosi omicidi e tragedie familiari, sin da quando la casa fu costruita da un celebre chirurgo dell star hollywoodiane. La ricerca di armonia da parte di Ben e famiglia finirà per scivolare in una serie di spiacevoli incontri scontri con i vicini, pazienti di Ben, criminali e impiccioni di varia natura, i quali finiranno, assieme ai fantasmi presenti nella casa, a costruire un disegno sempre più drammatico e spaventoso che vedrà in Vivien, nuovamente incinta (da Ben o il misterioso uomo in lattice lo scopriremo strada facendo) il centro dell’intera vicenda, passata, presente e ….. futura!!!
Forte di una sigla piacevolmente inquietante e di un variopinto e folto gruppo di personaggi primari e secondari, AHS prima stagione riesce a alimentare continuamente il fuoco estremo episodio dopo episodio, amalgamando perfettamente sovrannaturale con mitologia criminale, strizzando l’occhio perfino alla setta di Manson (i tre fanatici che tenteranno di replicare un celebre omicidio avvenuto anni or sono nella casa) e al massacro della Columbine del 1999. Tutto senza perdere mai la bussola sul tema della famiglia e ancora di più sulla maternità, punto centrale e focale di tutta la storia. Resa alla grande da Vivien, l’amante di Ben, la moglie dell’uomo sfigurato (personaggio bizzarro quanto triste() e soprattutto dalla vicina Constance (madre di tre figli ‘singolari’), interpreta in maniera superlativa, al punti di diventare senza volerlo forse in sceneggiatura la vera e assoluta protagonista della serie, da una Jessica Lange imperiale e perfettamente in linea con l’atmosfera inquietante, misteriosa e maledettamente meschina di AHS.
Grazie ai flashback e strappi temporali, i vari personaggi (alcuni azzeccati, altri meno) finiranno per affiancare meravigliosamente o rovinosamente la famiglia Harmon, rendendo così unica questa misteriosa entità invisibile, la casa, che dona il potere dell’immortalità eterea a chi muore al suo interno. Un dono creato dalla malvagità (gli aborti e la vendetta di chi l’ha subito) dei primi inquilini e proprietari, alimentato a dismisura nel tempo attraverso un circolo vizioso destinato a qualcosa di più ‘grande’ proprio nel nuovo millennio. Attraverso citazioni e omaggi vari (primaria fonte d’ispirazione è la serie anni ’60 DARK SHADOW) al cinema e letteratura horror e criminale, AHS regala diverse perle ironiche e brillanti (senza mi scivolare nel trash e nel demenziale) come l’amore doloroso e tormentato tra Tate e Violet o la duplice ‘personalità’ agli occhi degli altri della domestica, anche lei vittima della casa, sensuale per alcuni, anziana e dimessa per altri. La serie, per fortuna, regala il meglio proprio nel finalissimo, racchiudendo al meglio quel concetto di male (‘naturale’ e solo per comodo ‘innaturale’) insito nell’uomo sin dall’infanzia. Pur non raggiungendo l’epicità e la qualità estetica e visionaria di TWIN PEAKS, AHS Murder House rimane una stagione imperdibile per tutti gli appassionati dell’horror estremo, del macabro e della vita oltre la morte! VALUTAZIONE 4,5/5
H.E.
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