THE CONFESSION KILLER (2019) di Robert Kenner & Taki Oldham

Dopo l’ottima docu-serie criminale CONVERSATIONS WITH A KILLER: THE TED BUNDY TAPES di Joe Berlinger, Netflix cavalca nuovamente l’onda malvagia dei serial killer americani più tristemente noti, sfornando un lavoro ad ampio respiro (5 puntate) affidando la regia a due autori avvezzi al documentari come Robert Kenner e Taki Oldham. Oggetto di questa nuova serie crime è Henry Lee Lucas, catturato dai Ranger in Texas nel 1983 per l’omicidio di Kate Rich, un’anziana di 82 anni, e della ragazza di 15 anni Becky Powell. Henry si dichiara colpevole e porta i Rangers nel luogo di sepoltura di Becky, dove furono rinvenuti i resti, oramai scheletrici della ragazza. La vita di Henry cambierà per sempre durante il processo di questi due omicidi. Dichiarato colpevole, subito dopo la sentenza, con le televisioni che riprendevano tutto dichiarò: ‘e con le altre 100 donne che ho ucciso, che facciamo?’. Stupore e sgomento finirono per travolgere giudice, polizia locale, Rangers e giornalistici. Ben presto, Henry Lee Lucas finì sulle prima pagine di tutti i giornali nazionali e finì ben preso sotto la custodia dello sceriffo della contea di William Jim Boutwell. Lo sceriffo, popolare nella contea per la sua abilità nelle indagini e la sua risolutezza, finì per far confessare ad Henry molteplici omicidi rimasti irrisolti tra gli anni ’70 e primi ’80, tra i quali quello di una giovane donna mai identificata (trovato in un canale sotterraneo vicino l’Inter-statale 35, a due passi da Georgetown, in Texas completamente nuda tranne che per un paio di calzini arancioni). La donna venne strangolata e subì violenza sessuale dopo essere stata uccisa. Ben presto furono contattati diversi dipartimenti di polizia in diversi stati americani, finendo per attribuire al mostro Henry circa 200 omicidi rimasti irrisolti dalla California fino alla Florida, il quale ‘inspiegabilmente’ conosceva dettagli sulle vittime che solo il loro assassino avrebbe potuto sapere. Qualcosa però non quadrava e sarà proprio il noto giornalista Hugh Aynesworth, noto per il libro su Ted Bundy, a gettare ombre sulle innumerevoli ammissioni di colpa di Henry Lee Lucas. Sarà proprio questo articolo a mostrare il vero volto di Lucas. Un uomo reduce da abusi e violenze subite da bambino (furono riscontrate due lesioni subite in infanzia sulla sua testa che a detta di molti gli causarono seri problemi afferenti la memoria e sono solo), incline alla bugia, rozzo, sporco, sdentato e con un occhio malconcio. Un uomo accusato di aver ucciso la madre diversi anni prima della sua cattura nel 1983. Dove all’epoca degli omicidi confessati, girava spesso con un amico, tale Otis, un omosessuale dall’aspetto sinistro e alquanto inquietante. Un uomo che legittimò le accuse rivolte ad Henry confessando anch’egli alcuni omicidi commessi assieme, esempio quello dell’anziana Kate Rich. Inoltre Henry ammise di praticare più volte Necrofilia e Zooerastia. Sarà proprio l’articolo sopra citato a scatenare uno dei vespai più clamorosi sulla giustizia americana e sui metodi, spesso discutibili ed atti solo a chiudere casi irrisolti, da parte delle forze dell’ordine, Rangers e sceriffi per primi, in quanto quest’ultimi, eletti dal popolo, facevano della popolarità e dei giudizi positivi da parte di essa la loro forza.
Questa sopra la premessa ed il lungo prologo della prima puntata, che si evolverà in maniera a tratti grottesca (con una troupe giapponese ad accentuare la follia e l’isterismo collettivo attorno alla figura di Henry) che esploderà nella quarta puntata, coinvolgendo figure politiche di spicco (George W. Bush, all’epoca dei fatti descritti nelle ultime due puntate, anni ’90, era Governatore del Texas) e sopratutto la sorpresa Becky, per gli amanti del cinema horror identificata nella gracile e buona ragazza presente nell’estremissimo ‘Henry: Portrait of a Serial Killer’. negli anni ’90 le bugie afferenti Henry, che già aleggiavano nell’aria nel decennio precedente, presero il sopravvento, finendo per offuscare come non mai la verità su centinaia di omicidi. Sarà dopo la morte di Henry (avvenuta per cause naturali nel 2011 poco dopo la conversione della pena di morte ad ergastolo proprio da parte del succitato Bush), grazie all’uso consolidato della ricerca del DNA, a fare chiarezza su buona parte di omicidi attribuiti ad Henry e per i quali fu accusato di omicidio e quindi condannato inizialmente alla pena di morte.
Senza svelare i fatti mostrati e narrati negli ultimi due episodi, appare chiaro quanto questa serie metta in luce quanto verità e menzogna, opportunismo ed arrivismo, siano determinati e decisivi nelle indagini di omicidio (In America ma questo vale per tutto il mondo), finendo così per mettere a nudo i peggiori difetti della natura umana, fregandosene di fare giustizia, catturando i veri colpevoli, e di chiudere parzialmente le ferite dei familiari, prese in giro per decenni dalla polizia e giustizia alle quali si erano ingenuamente affidate. Le colpe però sono molteplici. Di Henry, dello sceriffo Jim Boutwel, dei Rangers ma soprattutto dei mass media, ansiosi di mettere in prima pagina il più grande killer della storia americana, scioccando tutti a dovere mitizzando un potenziale impostore e umiliando nuovamente i familiari delle vittime immaginarie di Henry. Emblema di tutto ciò sarà l’ultima intervista ad Henry, dove lo stesso dirà: ‘Non ho mai ucciso nessuno, solo mia madre e, forse, neppure lei’.
In conclusione siamo al cospetto di una serie crime valida, pur con alti e bassi nella narrazione (in particolare nelle prime tre puntate si poteva scavare di più sul passato malsano di Henry e Otis) che ha il merito di mettere in risalto le crepe innegabili del sistema giuridico ed investigativo americano. VALUTAZIONE 4/5

H.E.