THE SILENCE OF THE LAMBS (Il silenzio degli innocenti) del 1991 di Jonathan Demme

Il thriller cinematografico, basato sull’indagine procedurale poliziesca, non è stato più lo stesso dopo l’uscita de THE SILENCE OF THE LAMBS, pellicola che ha definito e delineato una serie di stilemi divenuti (anche troppo) classici del genere negli ultimi tre decenni.
Il film di Jonathan Demme, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Harris, è entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo, grazie al massiccio successo di pubblico, premi e critica, per quanto concerne il serial killer e la sua figura a metà strada tra il sinistro mitologico ed il geniale malefico associato allo stesso. Merito inconfutabile della figura di Hannibal Lecter, interpretato in maniera travolgente e superlativa da un Anthony Hopkins fino ad allora attore noto ma non proprio celebre al grande pubblico.
USA. Un serial killer soprannominato ‘Buffalo Bill’, in quanto scarnifica le sue vittime femminili dopo averle uccise, semina il panico nel paese. Un dirigente dell’FBI, Jack Crawford, sospetta che Hannibal Lecter, un famigerato serial killer psichiatra in carcere e condannato all’ergastolo, celebre per aver praticato la pratica del cannibalismo, sia in possesso di informazioni sulla figura misteriosa di Buffalo Bill. Conoscendo Lecter, Crawford vuole che sia la giovane recluta Clarice ad intervistare ‘Hannibal the cannibal’, convinto che quest’ultima, vista la sua giovane età, rappresenti la chiave giusta per risolvere il caso o avere semplicemente delle informazioni utili alla sua decifrazione …. 

 Raramente le figure principali della storia, come i tre protagonisti/antagonisti principali, sono risultate così diverse quanto complementari. Facile per quanto riguarda Buffalo Bill e Hannibal Lecter, meno per quanto riguarda quella di Clarence. Questo però, solo in superficie. Un percorso nella vita e nell’FBI da underdog della giovane Clarice, finirà per essere fondamentale per avere una visione quasi alla ‘pari’ dei due serial killer, a dimostrazione che solo tra sofferenti ed emarginati è possibile riconoscersi. Dalla celebre storia citata nel titolo alla continua lotta per dimostrare di essere all’altezza in un mondo poliziesco, come quello presentato nel film, ai limiti del misogino. Incredibilmente sarà proprio la protagonista a fine film, se la mettiamo nella bilancia delle forze trascinanti della pellicola, a risultare forse quella meno determinante e amata nella mente dello spettatore, costretto per incoscienza o incantesimo sinistro a rimanere ammaliato e affascinato dai cattivi, presentati in maniera folgorante e mai banale. Dosati egregiamente e sapientemente dal punto di vista visivo, estetico e di personalità fuori dalla norma, poco nel bene e molto nel male. Quest’ultimo onnipresente e multiforme, presentato attraverso anche figure secondarie (i grandi film funzionano spesso anche grazie a loro), come il direttore del carcere, un utile idiota, assai visicido, forte di un potere effimero e, come scopriremo, deleterio. Altro punto di forza, sempre collegato a quanto scritto sopra, il triplice legame tra i tre protagonisti. Palese, sinistro e colmo di rispetto quello tra Clarice e Hannibal, simbiotico quello tra quest’ultimo e Buffalo Bill, ed infine distante solo in apparenza ma incredibilmente vicino, quello tra la preda, Buffalo Bill, con la sua tenace cacciatrice Clarice. In una ipoteca classifica di preferenze però, afferente le performance attoriali, se Anthony Hopkins merita a mani basse il primo posto, a ruota dobbiamo mettere, prima di Jodie Foster, un fenomenale Ted Levine nel ruolo di Buffalo Bill, capace di creare una figura, figlia della metamorfosi (simboleggiata dalla falena ‘testa di morto’) presente sin dalla cover e centrale nella storia, sofferente, malefica e distruttiva grazie a poche, ma maledettamente incisive, sequenze.

Se sceneggiatura, personaggi, dialoghi e caccia al serial killer sono da massimo dei voti, per quanto concerne le sequenze estreme il film, almeno per chi mastica horror estremo tutti i giorni e considerato l’enorme potenziale della trama, lascia a desiderare. Una nota dolente fin troppo palese, con troppe scene immaginate, fuori campo e non mostrate (la potenzialità di presentare uno scuoiatore e nessuna scena ‘sul campo’?), lasciano al film un senso di leggere incompiutezza, gradita sicuramente al grande pubblico ma poco agli amanti del cinema più cupo, estremo e violento. Il film precedente, MANHUNTER di Michael Mann, dedicato all’universo di Hannibal Lecter (opera da confrontare per ispirazione al futuro RED DRAGON) risulterà alla lunga di maggior gradimento ai palati più golosi di estremo, con scene di gran lunga più scioccanti. Dopo oltre tre decenni THE SILENCE OF THE LAMBS regge alla grande il passare del tempo, grazie soprattutto alla figura di un villain anomalo (impossibile tifare contro) come Hannibal the Cannibal, il quale, sin dalla sua prima presentazione silenziosa in carcere, è entrato prepotentemente nella storia del cinema, non solo estremo, nonostante i tanti sequel, prequel e prodotti seriali, non sempre impeccabili a lui dedicati. Un thriller psicologico ancora oggi da visione fondamentale! VALUTAZIONE 4,5/5

H.E.

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